Vincenzo, che sa dove andare…

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Lo vedo arrivare tutte le volte che sono al campo. Vincenzo ha subito un grave infortunio qualche mese fa, ma quando la squadra si allena e quando gioca lui è sempre lì e mai da semplice spettatore. L’ho visto arrivare sorreggendosi su due stampelle e con un’armatura attorno alla gamba da far invidia ad Iron Man; qualche tempo dopo ad aiutare i suoi passi faticosi era una sola stampella; lo ricordo bene, zoppicare vistosamente a piedi nudi sul prato nei mesi estivi e a terra, in mezzo ai compagni, passare la palla da seduto. Lo vedo oggi che attraversa il campo verso gli spogliatoi modificando appena l’andatura per equilibrare il passo e rendere meno visibile la leggera incertezza che si avverte nel suo incedere quando sposta il peso sulla gamba ingiuriata da quello sfortunato incidente. Confesso di non sapere molto di lui, della sua storia personale e di quella ‘clinica’, del percorso di recupero che ancora lo aspetta e di come riempia il vuoto agonistico che l’infortunio ha scavato in questi mesi e quindi mi scuso con Vincenzo se costruisco ‘su di lui’ o, meglio, sulle sequenza di immagini che lo riguardano, una figura ‘emblematica’, anche se non astratta.

Ma, escludendo derive di tipo retorico e non avendo mai preso in considerazione il compatimento, perché ne scrivo? In fondo vicende analoghe riempiono la ripetuta quotidianità di ogni orizzonte sportivo sul quale si posi il nostro sguardo di praticanti o di appassionati e tutte – quelle molto note e quelle che rimangono iscritte solo nelle singole storie individuali – meritano considerazione e rispetto. Però, come mi capita di ricordare spesso, il mio ‘apprendistato emotivo’ nel mondo del rugby, al quale per la maggior parte della mia vita e fino a non molti anni or sono rimasto estraneo, passa inevitabilmente attraverso gli altri o meglio attraverso un’appropriazione ‘partecipativa’ di quel che accade nel microcosmo rugbistico al quale invece ora, in qualche modo, appartengo e che dunque osservo dall’interno.

La presenza costante di Vincenzo, pur infortunato, al campo di rugby, la natura quasi rituale di questo ‘esserci’, che assomiglia molto ad una necessità, rivelano ai miei occhi, ormai non più profani, una qualità peculiare dei luoghi dove l’esperienza rugbistica si incarna e si invera.
Le persone che popolano il campo di rugby (nel nostro caso si tratta di un Villaggio!), le emozioni che il loro passaggio sedimenta, la memoria comune ed i sentimenti individuali, il tempo segnato, di volta in volta, dalla fatica, dalla leggerezza, dalla gioia, dalla delusione, le immagini fermate da un fotocamera oppure solo dallo sguardo: tutto questo – e tanto altro – messo insieme compone il rassicurante quadro di una ‘casa’. Un posto nel quale tornare, il luogo, fisico e spirituale, dove restare, soprattutto quando si sente il bisogno o si ha la necessità di sentirsi accolti, sostenuti, protetti.

Io credo che sia (anche) per questo che Vincenzo, nel corso di questi mesi, che non saranno certo stati lievi, non ha mai smesso di venire al campo. Semplicemente…. tornava a casa.
Buon 2017 Vincenzo e buon 2017 a tutti. Ci vediamo a casa!

di Stefano F.